Quaderni di Serafino Gubbio Operatore, Pirandello

“Quaderni di Serafino Gubbio Operatore” è uno dei romanzi più originali dell’intera produzione pirandelliana; fondamentale è la polemica incentrata sul contrasto tra la civiltà tecnologica e quella umanistica.
Pirandello non condivide affatto l’espansione tecnologica dei suoi contemporanei: lo si evince dalle considerazioni iniziali del protagonista, Serafino Gubbio, che descrive il presagio della terra devastata dalla follia distruttiva dell’uomo-macchina. La scrittura di Serafino rispecchia il disordine esistenziale e si muove avanti ed indietro nello spazio e nel tempo. Segue il corso dei pensieri dell’io narrante, che interrompe spesso la narrazione per inserire flashback. L’occhio scrutatore di Serafino, cioè la sua macchina cinematografica, diviene il filtro della vita, che però riesce a trasmettere in diverse maniere messaggi molto significativi.

I “Quaderni” non rappresentano solo un’analisi critica della società contemporanea, ma testimoniano anche la possibile riduzione dell’uomo ad oggetto, se a contatto con il progresso tecnico. L’autore interpreta l’avvento della macchina come una regressione della comunicazione umana. Possiamo cogliere la dura protesta contro “l’alienante civiltà della macchine ed i suoi esaltatori”.
Viene quindi messa in evidenza l’alienazione dell’uomo, che gradualmente e con rammarico lascia che le macchine svolgano delle funzioni che fino ad allora erano proprie dell’uomo. Nella civiltà delle macchine, come nella finzione scenica, l’uomo è alienato da se stesso, catturato dal vertiginoso meccanismo di una vita di automatismi e follie. L’abitudine di Serafino ad assistere alla finzione scenica, finisce con l’escluderlo dalla vita reale. La scrittura resta l’unica testimonianza del frantumarsi delle coscienze, dei dubbi, del tragico quotidiano.

 

il diario

Nel diario di Serafino, Pirandello descrive disgustato tutte le perversioni e le storture dell’ambiente cinematografico. La casa cinematografica Kosmograph diventa la piccola riproduzione della società industrializzata, in cui il dominio delle macchine soffoca la vita umana. Vittima della meccanizzazione è lo stesso Serafino, un po’ filosofo ed un po’ artista, e ridotto al ruolo meccanico di “mano che gira la manovella”. La sua perdita della voce, in seguito allo shock dovuto alla tragedia degli attori Nestoroff e Nuti, rappresenta la perdita di sensibilità nei confronti della realtà. Pirandello considera il cinema come una parodia della condizione umana, in cui vi è una confusa convivenza tra illusione e realtà.

Pirandello esprime nel romanzo il suo bisogno di autenticità e di libertà. L’opera è infatti concepita come il diario di un uomo-macchina che subisce direttamente le conseguenze dei processi evolutivi in corso, avvertendo la propria identità sfaldarsi e perdersi nella corsa verso il progresso. È angosciato da ciò, intrappolato nei limiti di questo lavoro monotono ed alienante. Costretto a vivere un processo psicologico che lo conduce ad un’accettazione passiva ed un distacco dalla contemplazione disumanizzata.

Anche l’amore e la morte, che dominano le vicende della diva Nestoroff, si svuotano, perdendosi fra le trame stereotipate del film. Tutto diventa una banale scena che Serafino Gubbio continua a filmare senza provare alcuna emozione. Il ruolo dell’artista subisce una svalutazione nella nuova società, poiché è costretto a rinunciare alla sua individualità ed a sottostare alle regole dettate dalla macchina. La contiguità tra vicenda narrata e filmata esplode nel finale, quando la tigre, destinata ad essere sacrificata per esigenze sceniche, prende la sua rivincita e partecipa ad entrambi i versanti: quello della vita narrata e quello della vita filmata.

LA CRITICA

Il silenzio, condizione cui perviene Serafino, è presente nell’opera in quanto caratteristica peculiare del genere cinematografico. Pirandello, pur rimanendo ancorato ad una visione individualistica della tematica, è in anticipo sui tempi e tratta un problema che diventerà di scottante attualità nella seconda parte del novecento. L’intenzione dell’autore è quella di criticare la frenesia della società di massa, muovendo questa denuncia prima dell’effettivo sviluppo del problema. La professione di operatore è la metafora dell’uomo che osserva il fluire della vita, cui partecipa fisicamente ma non spiritualmente, trovandosi nella paradossale condizione di Serafino operatore: spettatore-protagonista di una realtà muta.

Il parallelismo tra le immagini finte, imprigionate dalla pellicola, e quelle vere, ugualmente inespressive, è molto efficace. L’atteggiamento impassibile del protagonista rivela lo scetticismo che lo pervade e che lo induce a ritenere impossibile qualsiasi mutamento. Questo graduale processo di corruzione è stato ormai avviato e si è sviluppato al punto non consentire più il suo arresto. Un processo del quale l’uomo ha perso il controllo e che inevitabilmente gli si ritorce contro.

Pubblicato da scc

Nato nel 1999, a Napoli, attuale studente del liceo IIS "E. Mattei" di Vasto, nel mio quinto anno di studi, presento la mia tesina in formato digitale, sperando che sia di gradimento.